Una dimensione maschile e femminile, quella della tossicodipendenza.
Uomini che “amoreggiano” con la loro amante, la sostanza, che sa come sedurre loro, farli abbandonare. O donne che trovano in lei la loro “cattiva madre”, che odiano, ma che soprattutto amano, perdonandola e cercandola sempre.
“Sono più forti le donne. Per un figlio riescono anche a chiudere con la roba. Sono più fortunate di noi”, dicono in questi gruppi a prevalenza maschili con cui ho lavorato per anni.
Da quando ho scritto “Danzare il Simbolo. DanzaMovimentoTerapia nel mondo tossicomane”, è successo che questo lavoro è stato letto da tante persone e ha accompagnato la formazione di numerosi studenti di DanzaMovimentoTerapia, poiché adottato in varie Scuole italiane, che ringrazio.
Utilizzato anche da chi interessato semplicemente alla Relazione di Cura e di Aiuto, molti di Voi mi hanno fatto domande, inviato interviste, o sono passate dai miei incontri.
So che sono state scritte tesi che hanno utilizzato questo testo, come elemento di studio o addirittura di partenza, sia in Italia che all’estero.
Me ne rallegro molto.
Mi auguro che metterlo nuovamente a disposizione possa contribuire a diffondere un’informazione corretta riguardo una disciplina così completa, come è la DanzaMovimentoTerapia applicata a un ambito tanto complesso quale è della tossicodipendenza.
Nel frattempo, nuove e sconosciute dipendenze maturano e ci chiedono di continuare a cercare.
Danzare il simbolo è stato presentato più volte, in particolare in Toscana, anche all’interno di Pisa Book Festival 2012.
Di seguito un breve Abstract:
Terminati i primi anni di lavoro come Danzamovimentoterapeuta, ripercorrendo a ritroso l’esperienza sul campo dei miei interventi, ho capito che forse il settore con cui mi son dovuta misurare più duramente, era quello della tossicodipendenza.
Elemento fondamentale del mio percorso, interagire con il mondo tossicomane mi ha costretta a rielaborare immediatamente ogni stimolo proveniente dalla mia formazione ma soprattutto dalla mia vita di danzatrice, tersicorea delle incertezze, tra ricerca di radici e nomadismo, in particolare di paesaggi umani.
Da un’esperienza tanto forte nasce “Danzare il Simbolo”, nasce questo libro scritto quasi da sé, come fosse stato “in pelle” per anni, aggiungendo ogni giorno, ad ogni incontro, qualche parola prima impensabile.
Quasi un’umile ed anonima cronaca di guerra, un diario di bordo senza bussola, in acque agitate, profonde e scure.
Bruciante desiderio di condividere un percorso di studio e di lavoro in un campo (l’applicazione della Danza in ambito di tossicodipendenze) forse poco dibattuto e testimoniato: pochi riferimenti, nessuna certezza e un discreto livello di angoscia nell’addentrarsi in un mondo tanto altero.
Si tratta di un libro semplice, snello ma non privo di spessore intrinseco e di rimandi teorici che odorano di Arte e Scienza, in una sintesi creativa dalle inimmaginabili possibilità applicative.
La Prefazione a cura di Paola De Vera D’Aragona, l’Introduzione di Giorgio Corretti, la Premessa di Enrica Ignesti, sottolineano l’importanza di conoscere a fondo questa disciplina, e la popolazione umana cui è indirizzata.
Il linguaggio di questo libro, è quello di una danzatrice che si abbandona per la prima volta a un salto inusuale, inesplorato, che la porta dal movimento alla parola. Ne scaturisce una parola scarna, immediata, in cui si racchiude lo spazio di un’esperienza toccante come persona e come terapeuta. Vi si immagina di parlare al mondo, in queste pagine, a un caleidoscopio di umanità variegata: gente comune, gente che si vuole dare il diritto di sognare e quindi di sperare, gente impegnata nella relazione di cura, di aiuto, nell’autoconoscenza, gente che crede a ipotesi, punti di vista altri. Una terra di nessuno, il mondo tossicomane. Indifferente e inaccessibile, riesce forse a farsi permeare dal ricordo di un’armonia che la Danza porta in sé, che ogni Uomo, da qualche parte, porta in sé.
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